SAN PANCRAZIO
SAN PANCRAZIO (in dial. San Brancat)
Frazione di Palazzolo s.O. e parrocchia autonoma. A m. 194 s.l.m. è situata a 30 km. da Brescia e a 3 km. da Palazzolo s.O.
ABITANTI: 500 c. nel 1751; 500 nel 1803 (di cui 300 sotto Adro, 180 sotto Erbusco e 20 sotto Palazzolo); 2000 nel 1926 e nel 1939; 2175 nel 1949; 2145 nel 1963; 2290 nel 1971; 2400 nel 1991, 2661 nel 1997.
La presenza dell’uomo nell’attuale territorio di S. Pancrazio è documentata fin dall’antichità più lontana. In lavori di sterro nel palazzo Vezzoli nel 1933 vennero alla luce tombe molto antiche probabilmente galliche; nel 1955 in un frutteto vennero scoperte altre tombe con lastre di pietra; già nel 1912 alla cascina Colombare venne trovata una monetina d’argento raffigurante Zeus Annone ritenuta un tetradramma dell’imperatore Alessandro Magno. La stessa toponomastica del territorio offre in Bornico una presenza cenomane nel significato di “luogo abitato” o un termine reto-ladino che significa “paese delle sorgenti”. Ancora più convincente nel territorio di S. Pancrazio la presenza romana, provata da numerose tombe venute alla luce tra il 1928 e il 1933 e da monete (coni di Massenzio) assegnate al sec. III d.C. Sensazionale poi, la scoperta. nel 1961 in località Torretta, sulla strada di S. Pancrazio, di tessere da mosaico in tale quantità che il fondo venne chiamato il “campo dei dadi” e che assieme alla scoperta di mura massicce, di una vasca e di frammenti fittili hanno fatto ritenere l’esistenza di una villa romana forse di tarda età repubblicana (sec. I d.C.) probabilmente perno di una centuriazione romana della quale non mancano segni anche meno rilevanti altrove. Come ha osservato Osvaldo Vezzoli «la presenza della villa romana sul territorio di San Pancrazio va realisticamente giustificata e “vista” anche in questo quadro economico di conquista all’esercizio agricolo signorile di nuove quantità territoriali; e la villa, costruita in muratura e laterizi (con mosaici, ecc.) è certamente dimora ed entità produttiva di un ricco possidente terriero». Come ha sottolineato ancora Osvaldo Vezzoli «La presenza della villa e degli altri resti archeologici indicano con sicurezza l’esistenza di alcuni insediamenti, posti sulla importante diramazione (con direzione nord) della strada romana Bergamo-Brescia. Nel nostro territorio il ritrovamento dei resti archeologici citati delinea una mappa distributiva di villaggi sufficientemente intensa, tale da confermare la tesi di un territorio già formato, dal punto di vista economico e paesaggistico, e continuamente trasformato dall’azione dei Romani». È da pensare che la villa romana sia sorta accanto ad un piccolo vico che potrebbe essere individuato nel toponimo di Bornico (“luogo abitato”) e che in luogo evangelizzatori, provenienti probabilmente da Milano, abbiano eretto uno di quei “loca sanctorum” dove intorno al deposito di reliquie di martiri veniva raccolta la popolazione sparsa nei dintorni, per la preghiera e l’istruzione cristiana. Fa pensare a ciò il culto conservato fino a tardi dei S.S. Nereo, Achilleo e particolarmente il culto di S. Pancrazio al quale venne dedicata la chiesa citata in documenti.
Reperti altomedievali vennero rinvenuti in frazione Bredazzane (località Bredina) e a S della pieve di San Pancrazio. Probabilmente in epoca longobarda il territorio attuale di S. Pancrazio entrò a far parte di un curtis (o curia) de Alino, comprendente anche territori di Zocco, Erbusco, Adro, ecc. che ha lasciato tracce in documenti tardivi ma di notevole significato. Fatta eccezione dell’accenno che compare nello spurio diploma di Ottone I del 6 ottobre 869 di conferma dei beni di proprietà feudali a Tebaldo Martinengo, che tuttavia vien ritenuto come attestante una tradizione antica, il nome viene per la prima volta annotato da Carlo Cocchetti, nella sua “Storia di Brescia e la sua Provincia”, nel 1108 anche se il primo documento storico che lo nomina come Curtis de Alino sono una bolla di Callisto II, del 1123 riportata da Federico Odorici nelle “Storie Bresciane” (vol. V p. 89), e un’investitura del vescovo Raimondo del 2 gennaio 1158 della Curtis Alini ai fratelli Pietro e Lanfranco Martinengo, dai quali passerà poi nel 1238 ai conti di Mozzo. Ma il nome non comparirà mai come comune o entità amministrativa ma come riferimento geografico ad una realtà territoriale ed economica che si va dissolvendo mentre si vanno organizzando entità amministrative oltre che ecclesiali di notevole rilievo come Adro, Erbusco, Zocco di Erbusco e, sia pure più marginalmente, Palazzolo.
Ha invece rilievo notevole la Chiesa di S. Pancrazio di Alino dipendente dalla Pieve di Palazzolo di cui esiste in data 17 dicembre 1291 una “descrizione di beni” di sua pertinenza. In seguito a liti che da tempo contrapponevano la Pieve di Palazzolo a quella di Erbusco circa la giurisdizione ecclesiastica sulla chiesa dedicata a San Pancrazio e sita nel territorio di Alino, il giudice del Podestà di Brescia ordina ai Vicari dei Comuni di Palazzolo e di Erbusco di risolvere la questione. Così i rappresentanti dei due Comuni accompagnano i “nuncii” della Pieve di Palazzolo a fare una ricognizione di tutti i beni pertinenti alla chiesa di San Pancrazio di Alino e, quindi, in sostanza di pertinenza della Pieve di Palazzolo nella quale, come ha osservato Ottavio Cavalleri, si «accenna per la prima volta con terminologia feudalistica medioevale alla consistenza, beneficiale della chiesa di S. Pancrazio, con precisazione del suo valore, con delimitazione territoriale e con indicazione dei primitivi rapporti di dipendenza».
Si tratta come ha sottolineato Osvaldo Vezzoli «di numerose terre, che si trovano nei territori di Alino, Adro ed Erbusco, per ognuna delle quali il documento fornisce l’ubicazione, i confini e le misure: ubicazione e confini espressi con nomi o toponimi che, purtroppo, quasi sempre non consentono di localizzare esattamente sul territorio le proprietà citate nel documento. In definitiva, scrive ancora il Vezzoli, l’atto notarile del 1291 conserva alla Pieve di Palazzolo una prerogativa evidentemente antica sul territorio della chiesa di San Pancrazio di Alino, che deve dare ogni anno alla Pieve di Palazzolo due libre di cera e una piccola somma di denaro, mentre l’Arciprete di Palazzolo ha diritto di celebrare messa nella chiesa il 12 maggio (San Pancrazio) e il 19 agosto (San Fermo)».
Da parte sua, come risulta da un documento pubblicato dal Putelli in “Storia e arte bresciana” (vol. I p. 34), la Pieve di Palazzolo nel 1379 doveva versare alla Mensa vescovile di Brescia “pro censu ecclesie Sancti Pancracii de Alini” mezzo peso di cera ogni anno. Come ha sottolineato ancora Osvaldo Vezzoli «La vicenda notarile del 1291 se da un lato evidenzia una serie di possedimenti terrieri e di proprietà appartenenti alla chiesa di San Pancrazio di Alino, testimonianti una sua importante consistenza patrimoniale e territoriale, dall’altro lato puntualizza che Alino non gode di nessuna autonomia nel campo dell’istituzione ecclesiale, tant’è che i possedimenti sono e spettano alla Pieve di Palazzolo di cui la chiesa di San Pancrazio è dipendente». Coinvolto Alino nello sfascio del sistema feudale e nel continuo passaggio di truppe nelle guerre dal sec. XIII al XV e da fatti rimasti ignoti, vede il suo territorio spartito e incorporato nei territori dei comuni di Erbusco, Adro, Capriolo e Palazzolo. Come ha sottolineato O. Vezzoli «Capriolo si impossessava della parte posta a N; Palazzolo della Contrada delle Ventighe, le Contrade del Magazzone e di S. Antonio e la zona a S del piccolo borgo denominato Sgraffigna. Erbusco e Adro, dopo una lunga serie di contestazioni, nel 1452 giungono ad una transazione con la quale definiscono per sempre le competenze ed i rispettivi confini sulla parte più vasta dell’antico territorio di Alino: confini che rimarranno validi fino al 1962 ossia fino all’aggregazione di S. Pancrazio a Palazzolo».
Dopo decenni di liti e contestazioni, nel 1508 una sentenza del capitano di Brescia pone termine a dissidi fra Erbusco e Palazzolo e ribadisce il diritto del comune di Erbusco di potere imbottare (cioè di tassare) i proprietari terrieri su tutte le terre “nella località di San Brancato o Pancrazio”.
Scomparso del tutto Alino da ogni documento anche topografico compare invece sempre di più la cappella e il borgo di S. Pancrazio, sia pure in stato decisamente precario. Negli “Atti della visita di Faustino di Santo Pellegrino, parroco di Palazzolo” del 1560, si legge infatti: tra le chiese campestri, mai chiuse e che non possono essere chiuse se non con grandi spese poiché sono semidistrutte e senza cardini alle porte anche la “Cappella di San Pancrazio nel borgo che porta lo stesso nome”. Il nome di Alino ritorna solo con la citazione di S. Maria de Alì nel territorio di Zocco d’Erbusco. La chiesa e il borgo di S. Pancrazio a loro volta dovevano essere in tale stato che non vengono nemmeno nominati negli “Atti della visita del Vescovo Bollani” del 1565. Ricompaiono invece, sia pure indirettamente nei ricordi di abitanti del luogo e delle località circostanti in documenti messi in luce da Francesco Ghidotti nel 1965 ed esistenti nell’archivio comunale di Palazzolo riguardanti una lite sorta nel 1654 fra gli arcipreti di Palazzolo e di Adro per i diritti sulla chiesa di S. Pancrazio: lite durata per oltre cinquant’anni. Riandando a molti anni prima, cioè quando era “putto”, l’ottantenne Giov. Paolo Vezzoli testimonia che: «Vi era nel sito, dove adesso si ritruova la chiesa, un gran mucchio di rovinazzi di pietre et altre congerie, quale si dimandavano il Toresello, come pur ancora si chiama adesso e ci erano rovine di fabbriche, atteso che anco nel cavare abbiamo trovate varie sorti di mattoni, e canali di terra et di altre cose. Questo sito era fatto di diverse strade che con incrociatura passavano ad ogni parte come puossi veder ancora di presente et in mezzo a queste strade vi restava la congerie sudetta e vi era una cappelletta, o Tribuinia, nella quale vi era dipinto S. Pancrazio et altri Santi quali, perché non so leggere, non mi ricordo che santi fossero». Un altro teste, Bernardino Vezzoli figlio di Camillo di San Pancrazio, di anni 58, afferma che nella Cappelletta erano dipinti i S.S. Nereo, Achilleo e San Pancrazio, il S. Nicola da Tolentino, la Beata Vergine, con i loro nomi sotto i quali vi erano queste lettere: “Pietro de Bagolino, Laurentio de Coccini, Picino della Costa e Franceschino Vezolo, fecit anno 1511” e sopra le figure dei Santi vi era una figura del Dio Padre con i quattro Evangelisti e sotto vi era la data 1540.
Un altro teste interrogato fornisce altre notizie sul luogo: «Sopra questo fondo nessun aveva pretensione alcuna perché era un luogo negro dove si giuocava alla balla e si dimandava il Toresello». Un altro teste aggiunge: «In quella cappelletta vi andavano i fanciulli a giocare a quadrello e a far altre cose mondane e questo luogo si dimandava il Toresello». Solo ogni tanto un tal Giovanni Antonio Lanzini capitava “ad insegnar ai fanciulli il Pater Noster e qualche devotione”. Era questa la situazione quando agli inizi del ‘600 Ziliano Vezzoli detto Zilio, l’arciprete di Palazzolo don Ventura Acchiappati e “altri vecchi” della Vicinia decisero di ingrandire la chiesuola e di fabbricare una casa “per il prete”. Dalle testimonianze raccolte si può fissare al 1610 il prolungamento della chiesetta e fissare intorno al 1612-1616 la costruzione della casa del cappellano, mentre nel 1614 questi (che fu don Bartolo Signoroni da Adro) incominciò a celebrare la messa nella cappelletta. Da parte loro i capifamiglia si impegnarono a versare quanto potevano a mantenere in luogo un cappellano che celebrasse ogni giorno la messa e gli altri uffici divini, portasse il viatico agli infermi e amministrasse i sacramenti. Conservata come coro la vecchia cappelletta “con le sue iscrizioni”, si costruì la navata. La soluzione adottata, però, non dovette soddisfare molto gli abitanti, giacché nel 1644 si pensò di allargare il coro, abbattendo quello vecchio e spostando la strada. Poco dopo costruirono dal 1650 al 1654 il campanile, dotato nel 1655 delle campane, suscitando sempre più gelosie e rivalità prima fra l’arciprete di Palazzolo e quello di Adro con l’entrata in scena poi dell’arciprete di Erbusco e dell’Ospedale Civile di Brescia sul cui territorio la chiesa era costruita. Portati tali contrasti alle autorità fino a quelle di Venezia, queste decisero sempre a favore di Palazzolo il cui arciprete in verità si interessò sempre dell’assistenza religiosa della zona. Gradatamente intorno alla chiesa si andò formando una vera comunità che andò unendo quella detta della Chiesa, le contrade Lancini, Colombare e dei Molini e altre cascine sparse nella campagna, amalgamando a metà del ‘600 una popolazione di circa 500 abitanti dei quali 300 circa appartenenti alla parrocchia di Adro, 180 a quella di Erbusco e circa 20 a quella di Palazzolo.
La popolazione andò sempre più amalgamandosi e aumentando così da esigere una nuova chiesa eretta nel 1750 la cui costruzione segnò il decollo, sia pure graduale, dell’indipendenza ecclesiastica ed in un certo senso anche civile di S. Pancrazio. Già nel 1761 il parroco di Adro concedeva la facoltà di conservare il SS. Sacramento per il viatico degli infermi mentre nel 1767 su disegno del milanese Santo Ganna veniva progettata una cappella del Rosario. Inoltre agli inizi dell’800 viene istituita una scuola affidata al cappellano. In più si moltiplicano i legati e si forma una fabbriceria. Nel 1852 il pittore (in verità molto maldestro) Giov. B. Butti provvide alla decorazione della chiesa. Nel 1853 viene aperto un registro per la raccolta di offerte per la costituzione di un beneficio parrocchiale, mentre nel 1854 viene avanzata una domanda per l’erezione in parrocchia autonoma alla quale il 16 luglio 1855 il vescovo di Brescia mons. Verzeri risponde che «viste le difficoltà che si attraversano alla formale erezione della terra di S. Pancrazio a parrocchia indipendente e d’altra parte i bisogni spirituali della contrada lo avevano consigliato di costituire, intanto, in essa, in via provvisoria una semplice curazia, con quelle attribuzioni a curato residente in luogo che bastassero ad assicurare il bene spirituale degli abitanti di S. Pancrazio». Nello stesso anno, come voto per il colera, gli abitanti di S. Pancrazio erigevano un santuario dedicato all’Immacolata finito nel 1857. Nel 1855 tale santuario veniva costruito su progetto dell’ing. Antonio Tagliaferri, sopra un’area offerta dalla famiglia Vezzoli, restaurato poi nel 1880 dallo stesso Tagliaferri.
Le nuove opere spinsero il vescovo di Brescia, mons. Verzeri a concedere, con decreto del 6 marzo 1856, l’erezione della chiesa di S. Pancrazio in curazia coadiutoriale con fonte battesimale, con il diritto (tuttavia regolato) di fare funerali, offici funebri e matrimoni, anche se a certe precise condizioni. L’8 marzo don Giuseppe Simoni veniva nominato coadiutore ad interim e sempre nel 1856 veniva costruito dalla ditta Giovanni Battista Gariboldi di Brescia, il battistero. Nel 1859 veniva benedetto il cimitero. Nel 1866 l’arciprete di Palazzolo rinunciava ai suoi privilegi su S. Pancrazio mentre nel 1887 grazie alla mediazione del prevosto di Capriolo don Luigi Minelli riemergeva l’esigenza di una autonomia parrocchiale completa che venne di nuovo frustrata.
Nel frattempo anche a S. Pancrazio faceva capolino la politica laicista ed anticlericale impersonata da Giovanni Battista Vezzoli e soprattutto dal figlio Gian Marco. I Vezzoli fecero di S. Pancrazio uno dei centri di propaganda liberale zanardelliana, fondando nel 1875 anche un Circolo popolare, di tinte accentuate anticlericali. La loro villa ospitò i più attivi esponenti liberali del tempo e gli epigoni delle campagne garibaldine della Lombardia. Se questa presenza rimase sempre circoscritta ad esponenti della borghesia la vita religiosa trovò animazione concreta nell’attività dei cappellani. Così don Giorgio Vezzoli, nativo del luogo, cappellano per parecchi anni, volendo provvedere all’assistenza religiosa della gioventù, andò ad abitare nella casa paterna di via Cadorna, cedendo la casa curaziale ad un sacerdote, don Francesco Novali di Gardone V.T., il quale vi aprì il primo oratorio trasformando l’orto in campo di ricreazione. Impulsi religiosi preponderanti, ma anche civili e, se si vuole autonomi, portavano la comunità di S. Pancrazio verso ripetuti e coraggiosi sforzi autonomistici. Dopo il 1859 la Fabbriceria assunse in gran parte l’eredità della Vicaria rimasta quasi solo di nome e non c’è da meravigliarsi se sia essa stessa ad assumere funzioni civili vere e proprie come, ad esempio, l’affitto di due stanze ad uso delle scuole maschile e femminile. Si passò in seguito ad una scuola mista, ma i documenti dimostrano un’autonomia amministrativa da parte della Fabbriceria di S. Pancrazio fino a sostenere cause in Pretura circa lavori compiuti nelle scuole.
Avvalendosi di una lunga esperienza di sforzi autonomistici, nel 1895 gli elettori di S. Pancrazio e quelli di Adro chiedevano di eleggere separatamente i rispettivi consiglieri. La richiesta, fatta propria dalla maggioranza del Consiglio Comunale e dalla Giunta Provinciale, venne contrastata da alcuni elettori e consiglieri che ricorsero alla Sezione IV del Consiglio di Stato chiedendo che venissero sospesi gli effetti della Decisione impugnata, ciò che avvenne con provvedimento del 1 maggio 1895. Invece il 6 novembre 1896 accogliendo i motivi addotti dalla Giunta Provinciale Amministrativa ed altri «dedotti da un elaboratissimo contro-ricorso dei conti Enrico Dandolo e Gaetano Maggi rappresentati dagli avvocati on. comm. Ulisse Papa e Tebaldo Tommasini» rigettò il ricorso condannando i ricorrenti alle spese di giudizio. Da allora in poi gli elettori di S. Pancrazio e di Adro votarono separatamente i rispettivi consiglieri comunali.
Spingevano all’autonomia ecclesiastica soprattutto, ma anche amministrativa civile, una sempre più accentuata evoluzione economico-sociale della borgata. Come ha notato Cavalleri, l’incremento demografico, lo sviluppo economico nel settore agricolo, industriale e commerciale, e l’ampliamento della rete stradale, favorivano grandemente, agli inizi di questo secolo, la rinascita economica e il progresso sociale della frazione. Allo stabilimento Introini stanziatosi nell’ambito del territorio di S. Pancrazio, altri se ne aggiunsero. Assieme si sviluppavano l’agricoltura e l’artigianato mentre le infrastrutture creavano nuove possibilità di espansione economica e sociale. Ma l’unico sfocio autonomistico si verificò in campo ecclesiale anche perché a capeggiarlo capitò chi fu capace di affrontarlo con coraggio e costanza come don Leopoldo Camplani. Nominato curato nel 1912 egli con tenacia degna della miglior causa, come fu scritto di lui, si prodigò oltre che all’assistenza religiosa allo sviluppo della vita sociale e civile della frazione. Appena arrivato don Camplani condusse a termine, su progetto del capomastro Paolo Cavalleri di Erbusco, l’allargamento della Chiesa, compiuto nel 1912. Subito venne affidata al pittore Luigi Locatelli di Bergamo la decorazione. Negli stessi mesi la ditta Rivetti di Rovato eseguì l’altare di S. Giuseppe e la bussola, la ditta Testori di Brescia realizzò vetri decorativi per il finestrone centrale della facciata ed altre finestre, la ditta Speriglio il pavimento e lo scultore E. Righetti la statua di S. Filomena ecc.
Nel 1912-1913 dal capomastro Paolo Cavalleri venne costruito l’edificio dell’asilo e su metà dell’orto della canonica la casa del medico. Si provvide inoltre di un nuovo orologio la torre (1913), fu collocata una statua di S. Antonio di Padova, fu situato un nuovo Battistero dalla ditta Gariboldi di Brescia (aprile 1914), si abbellì una cappella con una statua della Pietà dello scultore Emilio Righetti e le statue dei S.S. Luigi e Rocco, promosse dalle Madri cattoliche per i figli e mariti in guerra (settembre 1915). Subito intensa fu l’attività religiosa con la costituzione della Congregazione delle Madri cattoliche (dicembre 1912). Oltre alle feste tradizionali di S. Anna, di S. Firmo (la “festa dei bò”), della Madonna di Caravaggio alla Sgraffigna, del S. Rosario, di S. Antonio di P., di S. Luigi, dell’Addolorata, di S. Pancrazio, di S. Filomena (sostenuta dalla famiglia Vezzoli), don Camplani istituiva nel 1913 la festa del S. Cuore di Gesù “ad uso Quarantore” e introdusse nel 1914 la solenne processione del Corpus Domini. Promosse inoltre esercizi spirituali per la gioventù maschile. La realizzazione in pochi anni soltanto di opere così rilevanti convinse gli arcipreti di Adro ed Erbusco, attraverso la mediazione dell’arciprete di Capriolo, don Pietro Libretti a concedere il 18 dicembre 1914 l’erezione della Rettoria che tuttavia venne rimandata per volontà del vescovo fino a quando con un decreto vescovile del 2 luglio 1923 la chiesa e il territorio di S. Pancrazio venivano smembrati dalle parrocchie di Adro ed Erbusco ed eretti in Vicaria o Rettoria autonoma e indipendente con completa cura d’anime. Continuando nella sua generosa attività don Camplani provvedeva a ricordo dei caduti in guerra a restaurare il cimitero e a costruire una sala teatro per la gioventù, presto però venduta per difficoltà finanziarie.
Fra le poche iniziative “laiche” di riscontro è da annotare nel febbraio 1919 l’istituzione della Mutualità scolastica. Nel 1929 don Camplani aprì nell’Asilo l’oratorio femminile e le classi di catechismo per le bambine, affidate alle Suore Poverelle che istituirono anche una scuola di lavoro e una piccola biblioteca. Nel 1933 veniva fondata l’Azione cattolica nelle branche della gioventù maschile e femminile. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare dato il ruolo egemone della parrocchia ma forse anche in ragione di essa, non mancò una certa difficoltà di rapporti con pochi (“quattro” li contava don Camplani) ma combattivi liberali del tempo che dominavano la Vicinia. Del resto don Camplani assieme ad una intensa attività religiosa e pastorale sviluppò anche quella caritativa vivendo in pieno la vita dei suoi fedeli. Generosa soprattutto quella esplicata durante la I guerra mondiale e in occasione dell’epidemia della spagnola che lo vide instancabile accanto ai malati. Nel dopoguerra don Camplani dovette affrontare ancora con più energia la crescente opposizione socialista ed anticlericale che attraverso la Vicinia cercò di ostacolare in ogni modo l’azione sua e della Fabbriceria. A coronamento della sua generosa attività pastorale don Camplani costituì il beneficio parrocchiale per cui il 30 giugno 1934 un decreto vescovile erigeva la parrocchia di S. Pancrazio e il 20 ottobre 1934 il vescovo mons. Tredici consacrava la chiesa. Al tumultuoso e assieme generoso apostolato di don Camplani successe quello di assestamento e di continuo sviluppo di don Domenico Tonoletti (1936-1975) che fin dal dicembre 1936 avviava accanto alla canonica l’oratorio maschile con classi di catechismo nell’ex casa del medico con piccola ricreazione, subito beneficati da lasciti; benediva inoltre la bandiera della Gioventù Maschile di Azione Cattolica fondando l’Unione donne cattoliche, promuoveva il gruppo missionario. L’anno seguente, nell’aprile, don Tonoletti fondava le Conferenze maschile e femminile della S. Vincenzo e richiamava in vita la Congregazione del Terz’Ordine francescano. Mentre cullava subito il sogno non realizzato di una nuova chiesa parrocchiale, raccogliendo i fondi necessari, provvedeva la chiesa di nuovi banchi, nel 1940 acquistava la casa del curato e 10 piò di terra per le opere parrocchiali, provvedeva attraverso la ditta Maccarinelli al restauro dell’organo (1941), provvedeva la chiesa delle nuove statue di S. Luigi e della Madonna del Rosario. Nel 1947 avviava, su progetto dell’ing. Vittorio Montini, la costruzione del cinema-teatro. Nel contempo otteneva dal comm. Roberto Ferrari la prosecuzione degli scavi del pozzo per l’acqua potabile; nel dicembre 1948 veniva inaugurato un nuovo concerto di cinque campane della ditta G.B. De Paoli di Udine. Nel 1949 promuoveva l’ingrandimento del cimitero e il restauro da parte della ditta Soligo di Villa Pedergnano, della cappella del cimitero, e attraverso la stessa ditta della chiesetta dell’Immacolata. Nel 1950 sempre la ditta Soligo decorava la chiesa parrocchiale, mentre il 4 novembre veniva murata sulla facciata della chiesa una lapide a ricordo dei caduti di guerra. L’anno seguente (1951) era la volta del restauro e della decorazione della facciata della parrocchiale e nel 1952, ad opera di Sebastiano Molinari, del “Battistero”. Sempre nell’ambito delle attività legate alla parrocchia il 1° maggio 1953 veniva ricostituita la sezione alpini. Nel 1954 la sezione combattenti e reduci restaurava la cappelletta dei Morti delle Gaiarde e la dedicava ai Caduti di tutte le guerre. Nel 1958 venivano costruite quattro nuove aule di catechismo e nel 1961 la sede delle ACLI e il salone delle adunanze. I banchi nuovi (1959) una nuova cattedra (1959) impianti di amplificazione, il riscaldamento, un nuovo pavimento per la sagrestia, nuovi paramenti furono i frutti di una particolare cura di don Tonoletti.
Sulla parrocchia gravitò la prima attività sportiva di S. Pancrazio attraverso la promozione nel II Dopoguerra dell’Unione Calcistica S. Pancrazio la quale fin dal 1946 raccolse buoni successi. Grandissima parte dell’attività accennata è stata promossa e si è svolta quasi soltanto nell’ambito parrocchiale. Con il 1962 la situazione è andata evolvendosi in forza dell’aggregazione di S. Pancrazio al comune di Palazzolo s.0. e al concludersi di lunghi e tortuosi tentativi e contatti. L’anacronistica conformazione territoriale come parrocchia ma anche con una sua connotazione di aggregato socio-economico e pur ripetuto tra diverse entità civiche ecclesiastiche (Adro, Erbusco, Palazzolo) aveva infatti risvegliato nel tempo volontà annessionistiche, specie da parte di Palazzolo alla quale interessava sempre più un territorio di espansione industriale ed economica in genere. Fin dal giugno 1927 in un promemoria inviato all’on. Augusto Turati l’amministrazione comunale chiedeva ai sensi del R. Decreto 17 marzo 1927 n. 383 la revisione della propria circoscrizione comunale chiedendo l’aggregazione delle frazioni: S. Pancrazio e Zocco-Spina dipendenti in parte dal Comune di Adro e in parte da quello di Erbusco e i Comuni di Cologne e di Pontoglio in Provincia di Brescia e le frazioni di Cividino e Quintano in Provincia di Bergamo. Quest’ultime due, pel fatto che si incuneano coi loro fabbricati in quelli del Comune di Palazzolo, stendentesi sulla sponda destra dell’Oglio a lato dell’Edificio Scolastico, e perché la popolazione trova lavoro nelle industrie locali.
Come ha sottolineato Osvaldo Vezzoli, la formazione di un importante polo urbano compreso tra le città di Brescia e Bergamo costituiva dunque l’ambizioso progetto della borghesia palazzolese, consapevole della sua notevole forza economica e del peso politico che in quel preciso periodo poteva autorevolmente esercitare. Le resistenze dei comuni di Adro e di Erbusco, costrinsero verso la fine del 1930 Palazzolo a chiedere soltanto l’annessione di una parte del territorio di S. Pancrazio nella zona a monte dell’abitato per 300 ettari escludendo lo stesso abitato della frazione. La nuova proposta trovò nuovamente una decisa contrarietà nei comuni di Erbusco e Adro. Palazzolo ripiegò anche per le incertezze degli abitanti di S. Pancrazio allora su una semplice rettifica di confine. A S. Pancrazio tuttavia si faceva sempre più viva la convinzione di poter diventare comune autonomo sostenuta da personalità locali come l’avv. Giammarco Vezzoli e il parroco. Prevalse tuttavia ancora una volta la corrente per l’aggregazione a Palazzolo che nel giugno 1935 raccolse (117 firme a Adro e 57 a Erbusco) ad essa favorevoli. Nuove proteste dei podestà e degli organismi fascisti di Adro e Erbusco, portarono ancora una volta ad un accantonamento anche per ordine prefettizio della questione nonostante scendesse in campo in favore di Palazzolo l’ing. Mario Pesenti, direttore generale dell’Italcementi. La questione dell’aggregazione era tornata in campo nel 1949 ma, nonostante le profferte del Comune di Palazzolo, il parroco di S. Pancrazio, don Domenico Tonoletti e altri espressero il parere che fosse “cosa più lodevole e utile” che S. Pancrazio puntasse “verso la propria autonomia” anche amministrativa. Si dovette comunque arrivare ad un referendum che risultò favorevole all’aggregazione e ad una domanda formale in tal senso avanzata da 203 cittadini nell’aprile 1949 al Ministero dell’Interno. Al contempo i sostenitori dell’aggregazione chiedevano a Palazzolo come contropartita un serbatoio idrico capace di soddisfare l’intera popolazione, un’illuminazione pubblica sufficiente, la sistemazione delle strade, un ufficio comunale distaccato con fattorino e vigile e una commissione locale per una tassazione proporzionata all’ambito territoriale della frazione. Si manifestarono tuttavia nuovi contrasti e passarono anni di discussioni, specie sulla delimitazione territoriale e su nuove richieste e ancora nel tentativo di creare un comune autonomo appoggiato da Adro e da Erbusco. Seguirono vivaci manifestazioni oltre che ripetute pressioni dei favorevoli all’aggregazione che venne finalmente accordata con un decreto del Presidente della Repubblica del 31 marzo 1962. Nella nuova situazione di frazione del Comune di Palazzolo, S. Pancrazio ha registrato un nuovo e decisivo progresso. Nel 1963 veniva realizzato il nuovo impianto di illuminazione pubblica, nel 1965 veniva sistemato il sagrato della chiesa; il 30 maggio veniva inaugurato il Monumento ai caduti e dispersi di tutte le guerre, il 17 dicembre 1967 veniva inaugurato su progetto dell’ing. Noris di Palazzolo, il nuovo edificio della Scuola Materna; il 18 gennaio 1974 veniva dato il via al nuovo edificio delle Scuole elementari, nel 1981 il paese veniva munito dell’impianto di gas metano, nel 1981 la parrocchia con l’aiuto del Gruppo alpini realizzava un parco e nel 1989 nel settecentesco palazzo Gloria veniva aperto il centro per anziani. Se non in concorrenza in emulazione con quella civile è continuata l’attività parrocchiale, sempre sotto la guida fino al 1975 di don Domenico Tonoletti che nel 1964 affrontò il rifacimento della facciata e il restauro della torre campanaria, nel 1970 quello della chiesa dell’Immacolata; dal 1964 al 1970 quelli del cinema-teatro ed altre opere ancora. Don Antonio Tonoletti continua l’attività dello zio dal marzo 1975. Nel 1976 nasce, dopo due mesi di catechesi, la prima comunità neo-catecumenale. Alla fine degli anni ’70 sull’area ad O dell’oratorio avvia la sistemazione del terreno a parco giuochi, alla realizzazione del quale hanno contribuito volontari di tutti i gruppi, specialmente gli alpini. Sistemata l’abitazione del curato e le aule di catechismo provvede poi alla sistemazione del campo di calcio, ne allestisce un secondo e dà inizio alla radicale trasformazione del Cinema-Teatro del V. Montini. Gli impegnativi lavori (sale multiuso, aule, servizi) progettati dall’arch. Virgilio Crippa di Bergamo, affidati all’impresa Capoferri-Zanotti furono completati alla fine degli anni Ottanta.
PARROCI: Leopoldo Camplani (1934-1936); Domenico Tonoletti di Pievedizio (1936-1975); Antonio Tonoletti (1975-2008); Don Faustino (2008-2016); Don Fabio Marini (2016-2020); Amministratore parrocchiale (2020-2022); Don Paolo Salvadori (dal 2022)
Tratto da: “ENCICLOPEDIA BRESCIANA”
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